Rafano lucano: origini e proprietà

Conosciuto anche come cren,dalle genti del nord o come barbaforte nelle zone centrali a indicare, quest’ultimo, un “forte” per la barba!

La Lucania non è da meno: la sua radice piccante si coltiva principalmente in val d’Agri, nel lagonegrese, e nell’area del Vulture.

Sicuramente complessa è la galassia dei nomi volgari con cui si designa, particolarmente in Italia: la polinomia è dovuta anche alla differenziazione dialettale. Nella penisola centrale viene indicata generalmente come Barbaforte, Radicofica, Pizzicalingua, Armoraccia. La Liguria utilizza Armuassa, Ravanasso; il Piemonte Mostarda dei Capussin o Ravanet; la Lombardia Creen, Cren o Kren, parimenti in Trentino-Alto Adige, con riferimento alla radice, la parte usata per differenti scopi alimentari e fitoterapici.

Non manca, questa pianta, anche in Sicilia, denominata Rafanu rusticanu oppure orientali; sempre Rafano viene indicata nel resto del meridione.

Anche nella letteratura, la de­nominazione volgare più comune è costituta da cren o dalla sem­plice denominazione di Rafano o Rafano rusticano o Rafano te­desco.

La storia del rafano

La nascita di questa radice aromatica è avvolta da un velo di mistero.

In passato lo si definiva rafanosenape dei monaci, proprio perché sostituiva i semi della Sinapsis alba (senape bianca), ingrediente base della senape e della mostarda.

Certo è che fosse conosciuto già nell’antichità: gli schiavi egizi, nel  2600 a.C., pare si rifocillassero proprio con il rafano a fine giornata, durante la costruzione della pirami­de di Cheope. Il suo valore energetico è ancora oggi ritenuto valido e concreto, avallato dalla circostanza che i conta­dini riuscessero a concludere le proprie giornate lavorative proprio attraverso un consumo abbondante di radici.

I greci non erano da meno, menzionandolo attorno al 1000 a.C. e tanto meno la Gran Bretagna che utilizzava questa radice ben prima dell’arrivo dei romani.

Alcune tesi vogliono le origini del rafano ancora più lontane: proverrebbe dal medio oriente per poi giungere, attraverso il Mediterraneo, a nord. Nord che attraversa la Germania e la Normandia i cui popoli – i normanni – sono giunti nel belpaese, Basilicata inclusa ove, grazie al clima e all’abbondanza di acqua, la radice potrebbe aver attecchito agevolmente. Difatti la si rinviene quasi ovunque, spontaneamente, specialmente in luoghi freschi e ricchi di acqua come l’Appennino. A Potenza è anche soprannominato “il tartufo dei poveri”.

Nel Medioevo,il barbaforte era di uso comune nel­le farmacie dei conventi: i frati erboristi la sfruttavano per i medicamenti non solo per le reali proprietà ma anche perché, forse, il sapore e l’aroma pungente rendevano più credibile qualsiasi pozione preparata, come se sottendesse qualcosa di “magico” o “diabolico” (Magrini, 1988).

Le proprietà salutari del rafano

Il rafano appartiene alla famiglia delle Cruciferae, come i cavoli e i broccoli, con cui condivide pertanto le proprietà.

Tra le principali, la capacità di combattere le malattie cardiovascolari abbassandone i principali fattori di rischio: colesterolo e trigliceridi.

Numerose le altre decantate proprietà:

  • antibatteriche
  • antibiotiche
  • antianemiche
  • anticatarrali
  • antilinfatiche
  • antireumatiche
  • antiscorbutiche
  • bechiche
  • calmanti
  • depurative
  • digestive
  • diuretiche
  • espettoran­ti
  • eupeptiche
  • revulsive
  • rubefacenti
  • scialagoghe
  • stimolanti
  • stomachiche
  • afrodisiache (già Ovidio lo consigliava, per ottenere filtri erotici vegetali  e il Kamasutra lo cita in una ricetta con miele e latte)

Questa radice aromatica è molto efficace contro le infezioni:

  • gastrointestinali prodotte da cibo contaminato (fra cui il pericolosissimo batterio Escerichia Coli
  • del tratto urinario
  • del tratto respiratorio
  • faringiti

Utilizzata anche nella cosmesi naturale e in ambito della medicina popolare quale rimedio blando contro le macchie della pelle, le dermatosi dell’herpes e l’alopecia.

La coltivazione del Cren

Molto semplice, in realtà: è necessario disporre di un terreno fertile e friabile nella consistenza, che sia in un punto fresco o semi-ombreggiato.

Il periodo consigliato per la semina è la primavera o, comunque, un periodo in cui non si verifichino più gelo e brina.

Essendo, il rafano, una radice si suggerisce di distanziare le piante ad almeno 30 cm onde evitare che si intreccino. In caso di più file, è bene distanziare queste di almeno 50cm l’una dalle altre.

Per la concimazione è perfetto anche il compost e si ricorda di innaffiare frequentemente. L’abbondanza di acqua che si richiede per la sua crescita si spiega anche perché, la stessa, ne è il componente principale per circa il 95%, insieme con proteine, fibre e vitamina C in grandi quantità – se consumato crudo, come consigliato poiché essiccato perde parte delle sue proprietà, special­mente la sua supposta azione antibiotica -.

La raccolta è preferibile nel periodo autunnale e, volendo, sarebbe d’uopo attendere anche un paio d’anni per permettere alle piante di crescere e raggiungere radici di circa 15/20 cm. Ovviamente, in tal caso, è quasi d’obbligo ripararle nei mesi rigidi e tendenti alle gelate.

Metodi di conservazione

Occorre pulire e sciacquare accuratamente le radici per poi conservarle in un panno lievemente umido e lasciarle in frigo per 4 o 5 giorni, prima di utilizzarle in cucina.

Un altro metodo prevede di posizionare i fittoni in un contenitore asciutto, intervallando gli strati con sabbia o paglia, onde evitare il contatto tra le radici (specialmente se alcune di essere risultassero marce, per evitare contaminazioni). Per permettere l’aerazione, il contenitore non va coperto e va conservato in un luogo fresco ma asciutto.

Il congelamento è parimenti efficace: le radici vanno sempre pulite per poi riporle in sacchetti.

Ultima ma non ultima, la disidratazione. Dopo aver lavato e asciugato le radici, basta lasciarle qualche giorno al sole e riporle in un barattolo di vetro chiuso. Tuttavia si consiglia il consumo nell’arco di qualche settimana, per evitare che se ne alteri la freschezza.

Si rammenta che le proprietà del cren restano inalterate se crudo: anche l’essiccazione le riduce notevolmente.

Controindicazioni

Applicato esternamente, il cren è revulsivo; pertanto tale uso va fatto con pru­denza, in quanto non sono rari fenomeni irritativi o, addirittura, la formazione di vesciche se assunto in dosi eccessive.

L’uso di questa spezia è inoltre da evitare per chi soffre di disturbi cronici allo stomaco (ulcere, gastriti, ecc.), all’intestino, alla tiroi­de; devono evitarlo anche le persone generalmente nervose, le donne (durante la gravi­danza e l’allattamento) per non rischiare di trasferire odori e sapori sgrade­voli al latte.

Nonostante stimoli la bile, il cren potrebbe non essere adatto per chi soffre di bruciori di stomaco. In questi casi è meglio consultare il proprio medico e provare a capire quali possono essere le reazioni dell’organismo conseguenti alla sua assunzione.

Infine l’uso del cren è sconsigliato per soggetti con ipotiroidismo.

L’uso del rafano in Basilicata

In Basilicata si utilizza il rafano sia come spezia che come medicina. Il suo estratto viene usato dalle “nonne” lucane da secoli come succo o decotto, da macerare nel vino bianco, per combattere anemie e rachitismo, reumatismi e sciatica. Ma pure come antiscorbutico, emolliente ed espettorante.

Il barbaforte si usa generalmente grattugiato fresco su primi piatti con ragù di carne e, per farlo tutto l’anno, si conserva sott’olio. Volendo, invece, lo si può lavorare per crearne una salsa con cui condire anche i secondi piatti, di carne o pesce o uova, o anche altre verdure e ortaggi.

È ancora possibile preparare insalate e condire minestroni; può essere mescolato con aceto, sale, maionese o altri condimenti. Possiamo affermare che questo ingrediente sia entrato prepotentemente nella cucina “povera” popolare – per poi “contaminare” anche altri piatti ben più “blasonati”!

La radice, al suo interno, ha un colore biancastro e un sapore poco pronunciato. È schiacciandola, tagliandola o grattugiandola che si sprigiona la sua essenza piccante (solfocianato di butile) che potrebbe provocare irritazione alle mucose e lacrimazione.

Un piatto tipico lucano, inoltre, è la rafanata. Clicca sulle voci seguenti per scoprire queste gustose ricette!

Curiosità sul rafano

Molti di voi conosceranno la salsa wasabi, ovverossia quella salsa verde di origine nipponica giunta anche in patria. Oltre i confini giapponesi viene preparata proprio con il rafano in quanto solo questo sembra poter sostituire la radice della wasabia japonica, rara e anche costosa.

Per secoli il cren è stato anche utilizzato come condimento piccante, poiché altre spezie a oggi note – quali pepe, zenzero o senape, non erano ancora state importate.

Addirittura in Baviera, a Baiersdorf, è stato creato “Il museo più piccante al mondo” dedicato al barbaforte che leggenda narra essere pesato in oro dagli Dei.

Il ravanello vale il suo peso in piombo, le barbabietole il suo peso in argento, il rafano il suo peso in oro

Nel lessico popolare toscano si soleva usare l’espressione

eson ne’ rafani!

per indicare l’essere guai, traducibile come

sono tra le fiamme

con riferimento al sapore piccante e al potere irritante degli oli essenziali contenuti nella radice del ra­fano rusticano.

Salsa wasabi col cren: ricetta (clicca QUI)

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