Melfi: il borgo delle mura normanne

Melfi (Mèlfe in dialetto lucano) appartiene alla provincia di Potenza ed è il terzo comune per popolazione dopo i capoluoghi tant’è che, sin dal 1866, sono stati avanzati diversi progetti per renderla provincia, distaccandosi da quella potentina.

Il suo centro storico ha un aspetto complessivamente medievale e, nel tempo, si è sviluppata divenendo un importante centro industriale, sede di numerose imprese.

Il polo industriale di San Nicola di Melfi, sorto nei primi anni novanta, ospita la fabbrica automobilistica SATA, il più avanzato stabilimento del gruppo FCA in Italia, basato su sistemi innovativi d’automazione delle fasi produttive e sull’organizzazione del lavoro che massimizza la produttività.

Territorio

Melfi, uno dei comuni alle pendici del monte Vulture e per questo prettamente collinare, si trova nell’estremo nord della regione, confinando sia con la Puglia che con la Campania, dalla quale è separata dal fiume Ofanto.

Storia

Origini

Mèlfe era abitata già in epoche remote. Tuttavia, incerta ne è la data della fondazione, riscontrando pareri anche opposti tra loro in merito.

Giovanni Pontano e Leandro Alberti sostengono la tesi della fondazione greca. Viceversa  Erchemperto -monaco longobardo- fa risalire la nascita della città a delle famiglie dell’impero romano che, inizialmente, dovevano trasferirsi nella nuova Bisanzio, quella ricostruita da Costantino il grande.

Un nubifragio spazzò via le loro speranze, nei pressi della Schiavonia, riparando perciò nella croata Ragusa. Ivi vennero scacciate giungendo infine nella zona del Vulture, fondando appunto Melfi.

Le loro peripezie pare che non fossero finite: i barbari avrebbero minato la loro stabilità, costringendoli a un ennesimo pellegrinaggio culminato con la costruzione di Amalfi, in Campania (taluni ritengono che il nome Amalfi venga difatti da Melfi).

Un’ultima ipotesi proviene dal generale bizantino Basilio Boioannes (catapano d’Italia dal 1017 al 1027): questi riporta la fondazione all’inizio dell’XI secolo per due motivi: assenza di documenti attestanti l’esistenza id Melfi in epoche precedenti e assenza dall’elenco delle città nominate da Plinio il Vecchio, nel 70 d.C. circa, come per Rapolla e Venosa.

Monumenti e luoghi d’interesse

Cattedrale di Santa Maria Assunta

Progettata da Noslo di Remerio, iniziò ad essere costruita nel 1076 per volere di Roberto il Guiscardo, sebbene altre fonti attestano la data d’inizio nel 1153, sotto l’ordine di Guglielmo I di Sicilia. Del suo passato normanno è rimasto ben poco per via dei terremoti e dei ripetuti restauri che hanno reso il suo attuale aspetto prettamente barocco, a eccezione del campanile, eretto nel 1153 per ordine di Ruggero II, il quale conserva ancora uno stile romanico normanno. L’interno ha pianta a croce latina e tre navate, sormontate da un soffitto a cassettoni dorati e da una cupola di forma piramidale a otto facce.

Chiesa di Sant’Antonio

La costruzione avvenne nel 1423 e i restauri dopo il 1851. Fu gravemente danneggiata dall’esercito di Odet de Foix nel 1528, durante l’assedio di Melfi e resistette ai terremoti del 1731 e del 1752, ma quello del 1851 la danneggiò seriamente. Dal XVII al XVIII secolo, la chiesa viene dedicata a Sant’Antonio. Di stile romanico e gotico, conserva affreschi dell’epoca, una statua lignea di Sant’Antonio con Bambino dipinto in oro e un dipinto di Carlo Sellitto raffigurante Le Anime del Purgatorio. Durante le opere di restauro furono scoperti due archi in stile gotico, ove sull’arco trionfale è scolpita la data di ricostruzione (1523), a seguito del sisma del XV secolo.

Chiesa di Sant’Anna e Santa Maria del Suffragio

Edificata nel 1934, la chiesa appartenente alla parrocchia Cattedrale è conosciuta come organizzatrice della processione del venerdì Santo, dove insieme alle immagini sacre della Madonna Addolorata e Gesù Morto, sfilano bambine vestite di nero con in mano i misteri della Passione di Gesù. Tale chiesa organizza anche la processione di Sant’Anna il 26 luglio.

Chiesa della Madonna del Carmelo (Carmine)

Un tempo era parte del Convento dei carmelitani, che occupava buona parte degli stabili circostanti. L’originaria porta in legno (oggi conservata nel Palazzo del Vescovado) presenta immagini che riassumono il tipico esempio della concezione medioevale della morte. La confraternita di questa chiesa (insieme a quella di S. Anna) cura i riti della settimana Santa con l’esecuzione di mesti canti riguardanti la tragedia del Golgota.

Chiesa di San Teodoro

La data di costruzione è ignota sebbene antica, si è a conoscenza solamente che nel 1040 fu elevata a parrocchia dal vescovo Monsignor Baldovino, fino all’anno 1988, quando l’allora vescovo Mons. Cozzi accorpò la chiesa alla Cattedrale. Nell’edificio era conservato un vasetto di legno che conteneva le reliquie di San Teodoro M., di San Sebastiano e San Petronilla ma, dopo il sisma del 1980, questa testimonianza è andata perduta. Vi si trova un crocifisso in legno di medie dimensioni e una statua della “Madonna Desolata”.

Chiesa di San Lorenzo

Risalente al 1120, a quel tempo appartenente all’Abbazia di Sant’Ippolito di Monticchio Laghi, è probabilmente l’edificio più antico di Melfi, e consiste in un battistero ottagonale affiancato da un campanile ammezzato.

Chiesa rupestre di Santa Margherita

Interamente scavata nel tufo, risale al 1200. Fu scoperta da Gian Battista Guarini. Gli affreschi rappresentano soggetti come S. Margherita (sopra all’altare principale), l’arcangelo Michele, la Madonna con Bambino, S. Giovanni Battista e Cristo in Trono. Notevole una rappresentazione del motivo di Federico II che si imbatte in tre scheletri, diffuso schema di memento mori. Tra gli affreschi appaiono tre figure laiche in tenuta da falconieri, che, per il critico napoletano Pasquale Capaldo, sono i componenti principali della famiglia imperiale sveva: Federico II, sua moglie Isabella d’Inghilterra e il figlio dell’imperatore, Corrado IV. La rappresentazione melfitana dell’incontro dei tre morti e dei tre vivi è particolarmente insigne, non solo per l’ipotesi che a raffigurare i vivi sia la famiglia imperiale, ma anche perché essa potrebbe essere la più antica raffigurazione pittorica del tema a noi giunta, primato conteso con l’affresco di identico soggetto iconografico conservato nel Duomo di Atri, pur con alcune varianti all’interno dello schema generale.

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